giovedì 26 giugno 2014

la psicomotricità ha o no una valenza scientifica?è giusto considerarla terapeutica?

Dicendo «riflessione teorica» non intendiamo affatto qualcosa di disgiunto dall’operatività pratica. (…) Teorizzazione e indagine pratica sono le due facce della stessa medaglia, senza rapporto gerarchico fra loro. Ciò è ancora più vero per la psicomotricità. È stata proprio la costruzione di metodi e linguaggi osservativi condivisi e vagliati, la generalizzazione a partire da esperienze e osservazioni concrete, il controllo sul campo di tali generalizzazioni nonché gli apporti e le conoscenze con altre branche scientifiche che hanno permesso alla psicomotricità di disporre di un corpus teorico ben identificabile, seppur in evoluzione, di un linguaggio proprio e traducibile in quello di altre discipline e di una metodologia di intervento condivisa.
L’ANUPI ( Associazione Nazionale Unitaria Psicomotricisti e Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’Étà Evolutiva Italiana), pur con i limitati mezzi a disposizione, in più di vent’anni di attività ha operato in modo coerente in questa direzione, definendo le modalità per la presa in carico, proponendo continue riflessioni sul processo terapeutico o educativo, sui criteri di osservazione e di valutazione, e ponendo dei limiti precisi rispetto agli ambiti di intervento dei propri associati”(E.Berti e F.Comunello, anno 2011, pp.24-25).
Nel corso degli anni è sorta, da parte di altre discipline, una domanda che pone l’accento sul fatto che la psicomotricità abbia o meno una evidenza scientifica. “La spinta a tentare questa indagine è venuta anche da un suggerimento di Giovanni Chiavazza, psicologo e psicoterapeuta, collaboratore assiduo e attento dell’ANUPI. (…)  Gli spunti di riflessione offerti da Chiavazza sembrano indirizzare verso un tema che potremmo definire la ricerca delle costanti nella diversità e variabilità nelle costanti delle interazioni. Ciò significa che è specifico della psicomotricità considerare i particolari dell’espressività, che si manifestano con scarsa o nulla consapevolezza, quali elementi caratterizzanti le interazioni, e oggetto proprio della ricerca e della progettazione terapeutica o educativa che sia.(…) Il che rinvia ovviamente alla percezione,all’osservazione, alla capacità di cogliere gli elementi che caratterizzano le azioni che si ripetono, al confronto e controllo intersoggettivi”.(, E.Berti e F.Comunello, 2011,  pp.27-28)
Di conseguenza ne deriva la domanda che si interroga se sia vero o meno che la psicomotricità possegga un fattore terapeutico o protettivo. “L’espressione «fattore terapeutico» comporta che si deve cercare e dimostrare la presenza di un elemento specifico che cura e, in ambito educativo, che protegge, cioè che abbia la funzione preventiva di vaccino. Ne consegue che, implicitamente elemento essenziale per dimostrare la scientificità della psicomotricità è l’individuazione di una catena causale precisa. Inoltre, la domanda sottende, implicita e probabilmente inconsapevole, una concezione della disabilità come una malattia che si può guarire o ridurre. Così posta la domanda non è rispondibile, perché la disabilità non è una malattia bensì una condizione esistenziale, che tanto o poco, può essere fatta evolvere  tramite la presenza o la modifica dei contesti. Se mai esistono fattori terapeutici o protettivi, essi sono plurali, non identificabili con matematiche indagini a priori, dipendenti dai contesti e modificabili secondo l’evolversi della situazione.
D’altra parte l’ICF ( Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute ), cui certo non si può negare di essere il risultato di un lungo e complesso lavoro scientifico, trascende i diversi ambiti disciplinari e non si pone certo il problema del «principio attivo». Ancora più importante «non è più una classificazione delle “conseguenze delle malattie” (…) ma è diventata una classificazione delle componenti della salute»  (OMS,2011,p.11), ponendo l’accento sul funzionamento e sugli elementi contestuali. Esso infatti è suddiviso in due parti: «Funzionamento e Disabilità» da un lato e  «Fattori Contestuali» dall’altro; la prima a sua volta è suddivisa in due sezioni: «Funzioni e Strutture corporee» e «Attività e Partecipazione». È interessante rilevare che il termine corpo «si riferisce all’organismo umano nella sua interezza, e quindi include il cervello e le sue funzioni, ovvero la mente. Le funzioni mentali (o psicologiche) sono perciò classificate nelle funzioni corporee» (OMS,2001,p.25). Tale concezione onnicomprensiva del corpo, pur rispettando gli ambiti specifici delle diverse discipline, trascende tutte le opposizioni e le separazioni nette e riafferma l’unità dell’essere umano proprio in quanto corpo. Essa richiama l’originaria concezione della psicomotricità che intendeva sottolineare l’inscindibile interconnessione fra processi e manifestazioni motori e senso motori da un lato e processi e manifestazioni affettivi, emotivi e cognitivi dall’altro”. ( E.Berti e F.Comunello, 2011, pp .32-33)
In sintesi, nell’ultima classificazione dell’OMS non si fa più riferimento a situazioni di deficit, ma a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva; ovvero, mettendo in relazione la salute e l’ambiente, andando a considerare tutte le situazioni sfavorevoli di quest’ultimo che potrebbero causare disabilità. L’individuo e il suo corpo vengono considerati non come due cose distinte dove il corpo presenta malattie o disabilità, ma vengono considerati nella loro globalità e unicità; l’attenzione non viene più posta sui limiti ma sulle potenzialità che l’individuo riesce ad esprimere in un ambiente favorevole. Tale considerazione sta alla base  della psicomotricità, la quale si pone in un ambiente sicuro e protetto come esperienza favorevole al fine di esprime l’unicità dell’essere in quanto tale.
Per queste ragioni la psicomotricità fu vista dai pedagogisti come un nuovo metodo per osservare e interagire con i bambini, divenendo così alla fine degli anni Settanta del Novecento una risposta alternativa alla “didattica speciale”, trovando una sua collocazione originale nella scuola dell’obbligo.

La terapia psicomotoria per l’approccio globale alla personalità si propone come la modalità più adeguata nella cura delle patologie dell’età evolutiva. In particolare è efficace con bambini delle fasce di età tra 0 e 7-8 anni, periodo in cui c’è il primato della comunicazione non verbale su quella verbale, dei nuclei psicoaffettivi su quelli cognitivi, del corpo sulla mente. Adatta , in modo particolare, per bambini portatori di handicap psicofisici fin dalla nascita; infatti le limitazioni fisiche incidono negativamente sulla strutturazione dell’immagine di sé, sull’autostima e in definitiva sulla personalità stessa del bambino condizionando il processo maturativo. Al di là delle varie correnti di pensiero e dei vari metodi di riabilitazione psicomotoria ,appare opportuno fare propria l’idea di fondo che tutti trasmettono e condividono: l’importanza della integrazione mente-corpo per garantire all’individuo, bambino o adulto che sia, un equilibrio psicofisico ed una migliore qualità di vita.

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