Dicendo «riflessione
teorica» non intendiamo affatto qualcosa di
disgiunto dall’operatività pratica. (…) Teorizzazione e indagine pratica sono
le due facce della stessa medaglia, senza rapporto gerarchico fra loro. Ciò è
ancora più vero per la psicomotricità. È stata proprio
la costruzione di metodi e linguaggi osservativi condivisi e vagliati, la
generalizzazione a partire da esperienze e osservazioni concrete, il controllo
sul campo di tali generalizzazioni nonché gli apporti e le conoscenze con altre
branche scientifiche che hanno permesso alla psicomotricità di disporre di un
corpus teorico ben identificabile, seppur in evoluzione, di un linguaggio
proprio e traducibile in quello di altre discipline e di una metodologia di
intervento condivisa.
L’ANUPI ( Associazione Nazionale
Unitaria Psicomotricisti e Terapisti della Neuro e Psicomotricità dell’Étà
Evolutiva Italiana), pur con i limitati mezzi a disposizione, in più di
vent’anni di attività ha operato in modo coerente in questa direzione,
definendo le modalità per la presa in carico, proponendo continue riflessioni
sul processo terapeutico o educativo, sui criteri di osservazione e di
valutazione, e ponendo dei limiti precisi rispetto agli ambiti di intervento
dei propri associati”(E.Berti e F.Comunello, anno 2011, pp.24-25).
Nel corso degli anni è sorta, da
parte di altre discipline, una domanda che pone l’accento sul fatto che la
psicomotricità abbia o meno una evidenza scientifica. “La spinta a
tentare questa indagine è venuta anche da un suggerimento di Giovanni
Chiavazza, psicologo e psicoterapeuta, collaboratore assiduo e attento
dell’ANUPI. (…) Gli spunti di
riflessione offerti da Chiavazza sembrano indirizzare verso un tema che
potremmo definire la ricerca delle costanti nella diversità e variabilità nelle
costanti delle interazioni. Ciò significa che è specifico della psicomotricità
considerare i
particolari dell’espressività, che si
manifestano con scarsa o nulla consapevolezza, quali elementi caratterizzanti
le interazioni, e oggetto proprio della ricerca e della progettazione
terapeutica o educativa che sia.(…) Il che rinvia ovviamente alla
percezione,all’osservazione, alla capacità di cogliere gli elementi che
caratterizzano le azioni che si ripetono, al confronto e controllo
intersoggettivi”.(, E.Berti e F.Comunello, 2011, pp.27-28)
Di conseguenza ne deriva la
domanda che si interroga se sia vero o meno che la psicomotricità possegga un
fattore terapeutico o protettivo. “L’espressione «fattore
terapeutico» comporta che si deve cercare e
dimostrare la presenza di un elemento specifico che cura e, in ambito
educativo, che protegge, cioè che abbia la funzione preventiva di vaccino. Ne
consegue che, implicitamente elemento essenziale per dimostrare la
scientificità della psicomotricità è l’individuazione di una catena causale
precisa. Inoltre, la domanda sottende, implicita e probabilmente inconsapevole,
una concezione della disabilità come una malattia che si può guarire o ridurre.
Così posta la domanda non è rispondibile, perché la disabilità non è una
malattia bensì una condizione esistenziale, che tanto o poco, può essere fatta
evolvere tramite la presenza o la
modifica dei contesti. Se mai esistono fattori terapeutici o protettivi, essi
sono plurali, non identificabili con matematiche indagini a priori, dipendenti
dai contesti e modificabili secondo l’evolversi della situazione.
D’altra parte l’ICF (
Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della
Salute ), cui certo non si può negare di essere il risultato di un lungo e
complesso lavoro scientifico, trascende i diversi ambiti disciplinari e non si
pone certo il problema del «principio attivo».
Ancora più importante «non è più una classificazione delle “conseguenze
delle malattie” (…) ma è diventata una
classificazione delle componenti della salute»
(OMS,2011,p.11), ponendo l’accento sul funzionamento e sugli elementi
contestuali. Esso infatti è suddiviso in due parti: «Funzionamento
e Disabilità» da un lato e «Fattori
Contestuali» dall’altro; la prima a sua volta è
suddivisa in due sezioni: «Funzioni e
Strutture corporee» e «Attività e
Partecipazione». È interessante rilevare che il termine
corpo «si riferisce all’organismo umano nella
sua interezza, e quindi include il cervello e le sue funzioni, ovvero la mente.
Le funzioni mentali (o psicologiche) sono perciò classificate nelle funzioni
corporee» (OMS,2001,p.25). Tale concezione
onnicomprensiva del corpo, pur rispettando gli ambiti specifici delle diverse
discipline, trascende tutte le opposizioni e le separazioni nette e riafferma
l’unità dell’essere umano proprio in quanto corpo. Essa richiama l’originaria
concezione della psicomotricità che intendeva sottolineare l’inscindibile
interconnessione fra processi e manifestazioni motori e senso motori da un lato
e processi e manifestazioni affettivi, emotivi e cognitivi dall’altro”. ( E.Berti
e F.Comunello, 2011, pp .32-33)
In sintesi, nell’ultima
classificazione dell’OMS non si fa più riferimento a situazioni di deficit, ma
a termini che analizzano la salute dell’individuo in chiave positiva; ovvero, mettendo
in relazione la salute e l’ambiente, andando a considerare tutte le situazioni
sfavorevoli di quest’ultimo che potrebbero causare disabilità. L’individuo e il
suo corpo vengono considerati non come due cose distinte dove il corpo presenta
malattie o disabilità, ma vengono considerati nella loro globalità e unicità;
l’attenzione non viene più posta sui limiti ma sulle potenzialità che l’individuo
riesce ad esprimere in un ambiente favorevole. Tale considerazione sta alla
base della psicomotricità, la quale si
pone in un ambiente sicuro e protetto come esperienza favorevole al fine di
esprime l’unicità dell’essere in quanto tale.
Per queste ragioni la
psicomotricità fu vista dai pedagogisti come un nuovo metodo per osservare e
interagire con i bambini, divenendo così alla fine degli anni Settanta del
Novecento una risposta alternativa alla “didattica speciale”, trovando una sua
collocazione originale nella scuola dell’obbligo.
La terapia psicomotoria per
l’approccio globale alla personalità si propone come la modalità più adeguata
nella cura delle patologie dell’età evolutiva. In particolare è efficace con
bambini delle fasce di età tra 0 e 7-8 anni, periodo in cui c’è il primato
della comunicazione non verbale su quella verbale, dei nuclei psicoaffettivi su
quelli cognitivi, del corpo sulla mente. Adatta , in modo particolare, per
bambini portatori di handicap psicofisici fin dalla nascita; infatti le
limitazioni fisiche incidono negativamente sulla strutturazione dell’immagine
di sé, sull’autostima e in definitiva sulla personalità stessa del bambino
condizionando il processo maturativo. Al di là delle varie correnti di pensiero
e dei vari metodi di riabilitazione psicomotoria ,appare opportuno fare propria
l’idea di fondo che tutti trasmettono e condividono: l’importanza della
integrazione mente-corpo per garantire all’individuo, bambino o adulto che sia,
un equilibrio psicofisico ed una migliore qualità di vita.
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