domenica 29 giugno 2014

i principi pedagogici di base della Pratica Psicomotoria educativa

Il primo principio riguarda il dibattito educativo e pedagogico che pone il problema di considerare o meno questa pratica come un modello. Secondo Aucouturier :
“Essere un modello” è spesso inteso come omologare, limitare, annullare le potenzialità delle persone sopprimendone la creatività e inducendo in loro passività.
Al contrario, non fornire modelli significherebbe lasciare ad ognuno la possibilità di svilupparsi, confidando sulla natura buona . I limiti affettivi ed educativi che abbiamo riscontrato in bambini in difficoltà, ci portano a pensare che la natura buona sia particolarmente ingannevole e troppo spesso diventi un alibi che ci impedisce di aiutare un bambino.
Aiutare significa soprattutto non reprimere, non manipolare e non soffocare sul nascere le potenzialità ma accettare il bambino come essere unico, emozionalmente diverso da tutti gli altri bambini.
Il lavoro educativo ha come compito la realizzazione delle condizioni indispensabili alla maturazione psicologica di ogni individuo all’interno di un gruppo e la creazione di particolari condizioni di base che permettano lo sviluppo armonioso di ogni bambino.
L’educatore perciò svolge un ruolo importante nello sviluppo del bambino; esso rappresenta un “catalizzatore” della maturazione psicologica, maturazione che innanzitutto va capita, per poter essere integrata nella pedagogia e nella metodologia di ogni educatore. ( B.Aucouturier , 2013, p.138)
Il secondo principio,invece, riguarda il fatto che per saper riconoscere l’originalità e per conquistare il mondo il bambino ha bisogno di esprimere la propria onnipotenza, cioè la pulsionalità motoria che affianca la dinamica dei fantasmi d’azione. Dunque l’azione educativa consiste nell’aiutare il bambino a far evolvere questa sua pulsionalità attraverso il controllo sempre più fine di questa. Ne consegue che il bambino attua comportamenti e atteggiamenti verso se stesso e gli altri che si rifanno ad una grande attenzione verso il mondo e addirittura al piacere di essere responsabili delle proprie azioni.
La pulsionalità motoria evolve verso il moto pulsionale , cioè quel movimento tonico-affettivo interno che permette al bambino di evocare, senza realmente agire, sensazioni di azioni e il piacere a loro collegato. Il moto pulsionale dà origine quindi al processo che prepara all’azione e al desiderio dell’intenzione di agire e della capacità di trattenere, di memorizzare.
Si tratta di una evoluzione lenta che di solito arriva fino ai sei- sette anni; purtroppo gli educatori di frequente cercano di accelerarla oppure addirittura la ignorano perché non ne conoscono il valore come sorgente vitale, motore del piacere di agire e trasformare il mondo, del piacere di essere se stessi e di acquisire conoscenza.
Infine, il terzo principio pedagogico delinea le finalità educative per cui un progetto educativo possa considerarsi coerente :
Favorire lo sviluppo armonioso del bambino significa innanzitutto dargli la possibilità di esistere come soggetto unico e di esprimere un suo discorso particolare e specifico collegato agli avvenimenti della sua storia personale, ma significa anche dargli la possibilità di inserirsi in un discorso più generale di maturazione psicologica, indispensabile allo sviluppo del piacere di comunicare, creare e pensare . Quest’ultime sono tre finalità educative che difendiamo tenacemente e che rispondono ad un progetto educativo coerente in cui si inserisce la Pratica Psicomotoria educativa e preventiva. (B.Aucouturier, 2013,p.140)
 Secondo Aucouturier, la comunicazione è una necessità assoluta,che ha le sue radici nella qualità delle interazioni e nel piacere delle trasformazioni reciproche. Comunicare col bambino fin dai primi momenti di vita ha un’importanza pari a quella del nutrimento.
Un bambino che comunica è un bambino che ha visto riconosciute e rispettate fin dalla nascita le componenti non verbali della comunicazione. La madre ha dato senso ai significati non verbali del suo bambino,inserendolo in un ambiente di risposte non verbali che garantisce il piacere della comunicazione.
Le componenti non verbali vanno rispettate perché sono il modo privilegiato di comunicazione che utilizza il bambino piccolo. La comunicazione non verbale, economica, rapida e sempre carica di affetto, è basilare per una comunicazione verbale ben costruita. Dunque è fondamentale che l’educatore percepisca il senso dei messaggi non verbali del bambino e che risponda nel migliore dei modi, sia attraverso la qualità dei suoi gesti e delle sue emozioni, sia tramite il linguaggio verbale.
Il bambino cerca sempre la comunicazione perché desidera dirsi agli altri al fine di essere riconosciuto come persona unica e autentica. La comunicazione è il preludio alla decontrazione tonico-emozionale, elemento indispensabile per la formazione del pensiero operatorio. La comunicazione è prerequisito fondamentale di ogni azione educativa. (B.Aucouturier, 2013,pp. 140-143)
Per quanto riguarda il piacere di creare Aucouturier mette in evidenza come durante un’attività creativa il bambino sia distante, serio, assorto; arrivando ad affermare come la creazione sia solitudine e regressione a causa del collegamento tra creazione e ricerca dell’oggetto dell’amore.
La creazione da al bambino un senso di onnipotenza simile a quella del neonato convinto di essere il creatore del “seno” che soddisfa il suo piacere. La creazione quindi dà potere al bambino, potere che potrà in seguito offrire agli altri. Lo sguardo sulla propria produzione può essere considerato già come presa di distanza nei confronti della creazione e, più in generale, nei confronti di se stesso.
Per questo consideriamo la creazione come uno dei fattori che favorisce la decontrazione tonico-emozionale. Creare è un processo catartico o addirittura terapeutico quando il bambino trova la possibilità di porre in relazione i suoi fantasmi d’azione, l’esperienza affettiva trascorsa e il sé esistenziale.
Il giocare, che è atto creativo, dà forma ai contenuti inconsci, cioè ai fantasmi d’azione; il gioco è il piacere di mettere in scena rappresentazioni inconsce. Dunque, l’educatore è colui che saprà rendere dinamico il piacere di creare giocando a sua volta con i materiali culturali che utilizza nella sua pedagogia per favorire la crescita psicologica dei bambini. (B.Aucouturier, 2013, pp. 143-145)
Infine l’ultima finalità educativa riguarda il piacere di pensare. Aucouturier ritiene che quest’ultimo tragga origine dalla creazione del fantasma di azione, ritenendolo inseparabile da un oggetto di riferimento sul quale il bambino intende agire, nasce cioè da un’azione illusoria che lega il bambino alla madre e che si forma a partire dall’attività di rappresentazione.
Il piacere di pensare richiede allora di prendere in considerazione tutti i giochi di trasformazione che permettono al bambino di passare da formazioni psichiche inconsce alla loro traduzione cosciente. Il piacere di pensare richiede che il bambino sia lasciato libero di esprimere i suoi fantasmi d’azione attraverso il piacere di agire. Solo così potrà esprimere tutta la sua potenza nel trasformare il mondo e quindi liberarsi dagli oggetti cattivi interni ed esterni che possono invaderlo: prendere, gettar via, riunire, separare, selezionare, associare significa già «pensare un’azione».

La decentrazione sarà il risultato di una maturazione affettiva e psicologica che permette al bambino di scoprire che il piacere di pensare un proprio pensiero è anche piacere di esistere. (B.Aucouturier, 2013, pp. 145-146)

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