Il primo principio riguarda il
dibattito educativo e pedagogico che pone il problema di considerare o meno
questa pratica come un modello. Secondo Aucouturier :
“Essere
un modello” è spesso inteso come omologare, limitare, annullare le potenzialità
delle persone sopprimendone la creatività e inducendo in loro passività.
Al contrario, non fornire modelli
significherebbe lasciare ad ognuno la possibilità di svilupparsi, confidando
sulla natura buona . I limiti
affettivi ed educativi che abbiamo riscontrato in bambini in difficoltà, ci
portano a pensare che la natura buona sia
particolarmente ingannevole e troppo spesso diventi un alibi che ci impedisce
di aiutare un bambino.
Aiutare
significa soprattutto non reprimere, non manipolare e non soffocare sul nascere
le potenzialità ma accettare il bambino come essere unico, emozionalmente
diverso da tutti gli altri bambini.
Il lavoro educativo ha come
compito la realizzazione delle condizioni indispensabili alla maturazione
psicologica di ogni individuo all’interno di un gruppo e la creazione di
particolari condizioni di base che permettano lo sviluppo armonioso di ogni
bambino.
L’educatore perciò svolge un
ruolo importante nello sviluppo del bambino; esso rappresenta un
“catalizzatore” della maturazione psicologica, maturazione che innanzitutto va
capita, per poter essere integrata nella pedagogia e nella metodologia di ogni
educatore. ( B.Aucouturier , 2013, p.138)
Il secondo principio,invece,
riguarda il fatto che per saper riconoscere l’originalità e per conquistare il
mondo il bambino ha bisogno di esprimere la propria onnipotenza, cioè la
pulsionalità motoria che affianca la dinamica dei fantasmi d’azione. Dunque
l’azione educativa consiste nell’aiutare il bambino a far evolvere questa sua
pulsionalità attraverso il controllo sempre più fine di questa. Ne consegue che
il bambino attua comportamenti e atteggiamenti verso se stesso e gli altri che
si rifanno ad una grande attenzione verso il mondo e addirittura al piacere di
essere responsabili delle proprie azioni.
La pulsionalità motoria evolve
verso il moto pulsionale , cioè quel
movimento tonico-affettivo interno che permette al bambino di evocare, senza
realmente agire, sensazioni di azioni e il piacere a loro collegato. Il moto
pulsionale dà origine quindi al processo che prepara all’azione e al desiderio
dell’intenzione di agire e della capacità di trattenere, di memorizzare.
Si tratta di una evoluzione lenta
che di solito arriva fino ai sei- sette anni; purtroppo gli educatori di
frequente cercano di accelerarla oppure addirittura la ignorano perché non ne
conoscono il valore come sorgente vitale, motore del piacere di agire e
trasformare il mondo, del piacere di essere se stessi e di acquisire
conoscenza.
Infine, il terzo principio
pedagogico delinea le finalità educative per cui un progetto educativo possa considerarsi
coerente :
Favorire lo sviluppo armonioso
del bambino significa innanzitutto dargli la possibilità di esistere come soggetto unico e di esprimere
un suo discorso particolare e specifico collegato agli avvenimenti della
sua storia personale, ma significa anche dargli la possibilità di inserirsi in
un discorso più generale di maturazione psicologica, indispensabile allo
sviluppo del piacere di comunicare,
creare e pensare . Quest’ultime sono tre finalità educative che difendiamo
tenacemente e che rispondono ad un progetto educativo coerente in cui si
inserisce la Pratica Psicomotoria educativa e preventiva. (B.Aucouturier, 2013,p.140)
Secondo Aucouturier, la comunicazione è una necessità assoluta,che ha le sue radici nella
qualità delle interazioni e nel piacere delle trasformazioni reciproche. Comunicare
col bambino fin dai primi momenti di vita ha un’importanza pari a quella del
nutrimento.
Un bambino che comunica è un
bambino che ha visto riconosciute e rispettate fin dalla nascita le componenti
non verbali della comunicazione. La madre ha dato senso ai significati non
verbali del suo bambino,inserendolo in un ambiente di risposte non verbali che
garantisce il piacere della comunicazione.
Le componenti non verbali vanno
rispettate perché sono il modo privilegiato di comunicazione che utilizza il
bambino piccolo. La comunicazione non verbale, economica, rapida e sempre
carica di affetto, è basilare per una comunicazione verbale ben costruita.
Dunque è fondamentale che l’educatore percepisca il senso dei messaggi non
verbali del bambino e che risponda nel migliore dei modi, sia attraverso la
qualità dei suoi gesti e delle sue emozioni, sia tramite il linguaggio verbale.
Il bambino cerca sempre la
comunicazione perché desidera dirsi agli altri al
fine di essere riconosciuto come persona unica e autentica. La comunicazione è
il preludio alla decontrazione tonico-emozionale, elemento indispensabile per
la formazione del pensiero operatorio. La comunicazione è prerequisito
fondamentale di ogni azione educativa. (B.Aucouturier, 2013,pp. 140-143)
Per quanto riguarda il piacere di
creare Aucouturier mette in evidenza
come durante un’attività creativa il bambino sia distante, serio, assorto;
arrivando ad affermare come la creazione sia solitudine e regressione a causa
del collegamento tra creazione e ricerca dell’oggetto dell’amore.
La creazione da al bambino un
senso di onnipotenza simile a quella del neonato convinto di essere il creatore
del “seno” che soddisfa il suo piacere. La creazione quindi dà potere al
bambino, potere che potrà in seguito offrire agli altri. Lo sguardo sulla
propria produzione può essere considerato già come presa di distanza nei
confronti della creazione e, più in generale, nei confronti di se stesso.
Per questo consideriamo la
creazione come uno dei fattori che favorisce la decontrazione
tonico-emozionale. Creare è un processo catartico o addirittura terapeutico
quando il bambino trova la possibilità di porre in relazione i suoi fantasmi
d’azione, l’esperienza affettiva trascorsa e il sé esistenziale.
Il giocare, che è atto creativo,
dà forma ai contenuti inconsci, cioè ai fantasmi d’azione; il gioco è il
piacere di mettere in scena rappresentazioni inconsce. Dunque, l’educatore è
colui che saprà rendere dinamico il piacere di creare giocando a sua volta con
i materiali culturali che utilizza nella sua pedagogia per favorire la crescita
psicologica dei bambini. (B.Aucouturier, 2013, pp. 143-145)
Infine l’ultima finalità
educativa riguarda il piacere di pensare.
Aucouturier ritiene che quest’ultimo tragga origine dalla creazione del
fantasma di azione, ritenendolo inseparabile da un oggetto di riferimento sul
quale il bambino intende agire, nasce cioè da un’azione illusoria che lega il
bambino alla madre e che si forma a partire dall’attività di rappresentazione.
Il piacere di pensare richiede
allora di prendere in considerazione tutti i giochi di trasformazione che
permettono al bambino di passare da formazioni psichiche inconsce alla loro
traduzione cosciente. Il piacere di pensare richiede che il bambino sia
lasciato libero di esprimere i suoi fantasmi d’azione attraverso il piacere di
agire. Solo così potrà esprimere tutta la sua potenza nel trasformare il mondo
e quindi liberarsi dagli oggetti cattivi interni ed esterni che possono
invaderlo: prendere, gettar via, riunire, separare, selezionare, associare
significa già «pensare un’azione».
La decentrazione sarà il
risultato di una maturazione affettiva e psicologica che permette al bambino di
scoprire che il piacere di pensare un proprio pensiero è anche piacere di
esistere. (B.Aucouturier, 2013, pp. 145-146)
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